Agenti immobiliari: anche l’autovalutazione è negativa

Quella degli agenti immobiliari non è tra le categorie più amate dagli italiani. Senza entrare nel merito della fondatezza o meno di questa reputazione negativa — scrive Il Sole 24 Ore — è un dato di fatto che il lavoro del mediatore venga spesso criticato e il suo compenso percepito come “una tassa da pagare” se vi vuol comprare (o vendere) una determinata casa, piuttosto che come un adeguato compenso per il servizio ricevuto. Le associazioni di categoria e i franchising ne sono consapevoli e in maniera critica hanno avviato percorsi di formazione e autoregolamentazione, nella convinzione che solo una professionalità forte e riconosciuta possa garantire un futuro redditizio. Pur in questo contesto, possono stupire i risultati di un sondaggio condotto dal network Remax, dove sono gli stessi 490 agenti interpellati a confermare che la non invidiabile reputazione della categoria derivi per l’ 12% dal “pessimo lavoro fatto in passato” e per ben il 63% da «comportamenti superficiali ancora oggi praticati». Come dire, ci sono colleghi che sbagliano. Ovviamente sempre gli altri. Ironie a parte, l’autocritica è sempre un punto importante per ripartire da nuove basi. L’agente immobiliare ha la percezione che «il cliente lo ritenga una risorsa utile» nel 27,6% dei casi, «un ostacolo oneroso» nel 39,2% dei casi (al sud si raggiunge il 52,3%), «un professionista riconosciuto, ma che dovrebbe fare di più» nel 33,3% dei casi. Inoltre il 25,3% del campione sostiene che «la categoria non comunichi con efficacia il proprio valore al mercato». Su cosa puntare per migliorare? Il 54,9% degli agenti non ha dubbi: «formazione e aggiornamento obbligatori». Cade inoltre ogni difesa protezionistica, infatti solo il 10% del campione ritiene utile rendere più severo l’accesso alla professione. Emerge la necessità, per il 35,1% dei partecipanti, di comunicare in modo continuativo il valore dell’agente immobiliare alle persone.

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